La legge 300/70, meglio nota come Statuto dei Lavoratori, quando nacque fu una legge di civiltà e di giustizia per i lavoratori. Le masse più deboli non dovettero più accettare condizioni degradanti e avvilenti per svolgere il proprio lavoro e portare il salario a casa. Furono introdotti diritti e tutele in forza di legge, maggiori garanzie per la dignità e la libertà dei lavoratori contro lo sfruttamento delle classi dominanti. Era una legge generale, oggettiva, che nelle intenzioni doveva guidare ogni individuo attraverso una forma migliore della vita sociale ed economica per chi di lavoro vive e non vive sfruttando il lavoro degli altri.
Sono passati quasi cinquant’anni e quella legge “morale”, unica e indiscutibile, sta perdendo forza sotto un continuo attacco disgregatore che si protrae da tempo.
Legge 20 maggio 1970, n. 300
Statuto dei lavoratori
Gazz. Uff. 16 luglio 1941, n. 166
TITOLO I
Della libertà e dignità del lavoratore
Art. 1.
Libertà di opinione.
I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa,
hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare
liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e
delle norme della presente legge.
Art. 2.
Guardie giurate.
Il datore di lavoro può impiegare le guardie particolari giurate, di cui agli articoli
133 e seguenti del testo unico approvato con regio decreto 18 giugno
1931, numero 773, soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale.
Le guardie giurate non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi
da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale.
È fatto divieto al datore di lavoro di adibire alla vigilanza sull’attività lavorativa
le guardie di cui al primo comma, le quali non possono accedere nei locali
dove si svolge tale attività, durante lo svolgimento della stessa, se non
eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di
cui al primo comma.
In caso di inosservanza da parte di una guardia particolare giurata delle disposizioni
di cui al presente articolo, l’Ispettorato del lavoro ne promuove
presso il questore la sospensione dal servizio, salvo il provvedimento di revoca
della licenza da parte del prefetto nei casi più gravi.
Art. 3.
Personale di vigilanza.
I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza
dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati.
Art. 4.
Impianti audiovisivi. (1)
1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità
di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati
esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza
del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati
previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria
o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese
con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione
ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni
sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In
mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono
essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato
nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità
produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della
sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al
terzo periodo sono definitivi. (2)
2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati
dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione
degli accessi e delle presenze.
3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i
fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore
adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione
dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo
30 giugno 2003, n. 196.
(1) Articolo così sostituito dall’art. 23, comma 1, D.Lgs. 14 settembre
2015, n. 151, a decorrere dal 24 settembre 2015, ai sensi di quanto disposto
dall’art. 43, comma 1 del medesimo D.Lgs. n. 151/2015.
(2) Comma così modificato dall’art. 5, comma 2, D.Lgs. 24 settembre
2016, n. 185, a decorrere dall’8 ottobre 2016, ai sensi di quanto disposto
dall’art. 6, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 185/2016.
Art. 5.
Accertamenti sanitari.
Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla
infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente.
Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso
i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti
a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda.
Il datore di lavoro ha facoltà di far controllare la idoneità fisica del lavoratore
da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico.
Art. 6.
Visite personali di controllo.
Le visite personali di controllo sul lavoratore sono vietate fuorché nei casi in
cui siano indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale, in relazione
alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti.
In tali casi le visite personali potranno essere effettuate soltanto a condizione
che siano eseguite all’uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate
la dignità e la riservatezza del lavoratore e che avvengano con l’applicazione
di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi
di lavoratori.
Le ipotesi nelle quali possono essere disposte le visite personali, nonché,
ferme restando le condizioni di cui al secondo comma del presente articolo,
le relative modalità debbono essere concordate dal datore di lavoro con le
rappresentanze sindacali aziendali oppure, in mancanza di queste, con la
commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro,
provvede l’Ispettorato del lavoro.
Contro i provvedimenti dell’Ispettorato del lavoro di cui al precedente
comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza
di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di
cui al successivo articolo 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione
del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale.
Art. 7.
Sanzioni disciplinari.
Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle
quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione
delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante
affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto
in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano.
Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei
confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito
e senza averlo sentito a sua difesa.
Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale
cui aderisce o conferisce mandato.
Fermo restando quanto disposto dalla legge 15 luglio 1966, n. 604, non possono
essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi
del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un
importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal
servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni.
In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale
non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla
contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa.
Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma
restando la facoltà di adire l’autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia
stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni
successivi, anche per mezzo dell’associazione alla quale sia iscritto ovvero
conferisca mandato, la costituzione, tramite l’ufficio provinciale del lavoro e
della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato,
composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro
scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore
dell’ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla
pronuncia da parte del collegio.
Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall’invito rivoltogli
dall’ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al
collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto.
Se il datore di lavoro adisce l’autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta
sospesa fino alla definizione del giudizio.
Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi
due anni dalla loro applicazione.
Art. 8.
Divieto di indagini sulle opinioni.
È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso
dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a
mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore,
nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale
del lavoratore.
Art. 9.
Tutela della salute e dell’integrità fisica.
I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione
delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie
professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di
tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica.
Art. 10.
Lavoratori studenti.
I lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole
di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali,
pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli
di studio legali, hanno diri a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai
corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro
straordinario o durante i riposi settimanali.
I lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere
prove di esame, hanno diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti.
Il datore di lavoro potrà richiedere la produzione delle certificazioni necessarie
all’esercizio dei diritti di cui al primo e secondo comma.
Art. 11.
Attività culturali, ricreative e assistenziali e controlli sul servizio di mensa
(1).
Le attività culturali, ricreative ed assistenziali promosse nell’azienda sono
gestite da organismi formati a maggioranza dai rappresentanti dei lavoratori.
Le rappresentanze sindacali aziendali, costituite a norma dell’art. 19, hanno
diritto di controllare la qualità del servizio di mensa secondo modalità stabilite
dalla contrattazione collettiva (2).
(1) Rubrica così modificata dall’art. 6, co. 6, D.L. 11 luglio 1992, n. 333,
convertito con modificazioni, nella L. 8 agosto 1992, n. 359.
(2) Comma aggiunto dall’art. 6, co. 7, D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito
con modificazioni, nella L. 8 agosto 1992, n. 359.
Art. 12.
Istituti di patronato.
Gli istituti di patronato e di assistenza sociale, riconosciuti dal Ministero del
lavoro e della previdenza sociale, per l’adempimento dei compiti di cui al
D.Lgs.C.P.S. 29 luglio 1947, n. 804 , hanno diritto di svolgere, su un piano di
parità, la loro attività all’interno dell’azienda, secondo le modalità da stabilirsi
con accordi aziendali.
Art. 13.
Mansioni del lavoratore.
L’articolo 2103 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato
assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente
acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente
svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione
a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente
all’attività svolta, e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove
la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente
con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti
collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere
trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni
tecniche, organizzative e produttive.
Ogni patto contrario è nullo».
TITOLO II
Della libertà sindacale
Art. 14.
Diritto di associazione e di attività sindacale.
Il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività
sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro.
Art. 15.
Atti discriminatori.
È nullo qualsiasi patto od atto diretto a:
a) subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o
non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte;
b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o
mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti
pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero
della sua partecipazione ad uno sciopero.
Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti
diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di
sesso, di handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni
personali (1).
(1) Comma prima sostituito dall’art. 13, L. 9 dicembre 1977, n. 903 e poi
così modificato dall’art. 4, co. 1, D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216.
Art. 16.
Trattamenti economici collettivi discriminatori.
È vietata la concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi
carattere discriminatorio a mente dell’articolo 15.
Il pretore (1
), su domanda dei lavoratori nei cui confronti è stata attuata la
discriminazione di cui al comma precedente o delle associazioni sindacali
alle quali questi hanno dato mandato, accertati i fatti, condanna il datore di
lavoro al pagamento, a favore del fondo adeguamento pensioni, di una
somma pari all’importo dei trattamenti economici di maggior favore illegittimamente
corrisposti nel periodo massimo di un anno.
(1) Ora tribunale in composizione monocratica.
Art. 17.
Sindacati di comodo.
È fatto divieto ai datori di lavoro ed alle associazioni di datori di lavoro di costituire
o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali
di lavoratori.
Art. 18.
Reintegrazione nel posto di lavoro. (1)
Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento
perché discriminatorio ai sensi dell’articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n.
108, ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell’articolo
35 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo
11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di
cui all’articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative
in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di
cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni,
ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato
da un motivo illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 del
codice civile, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la
reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal
motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati
dal datore di lavoro. La presente disposizione si applica anche ai dirigenti.
A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende
risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni
dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennità
di cui al terzo comma del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo
si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato
in forma orale. (2)
Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresì il datore
di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento
di cui sia stata accertata la nullità, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata
all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento
sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito,
nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative.
In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato
inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali
e assistenziali. (2)
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al secondo
comma, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro,
in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a
quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta
determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a
contribuzione previdenziale. La richiesta dell’indennità deve essere effettuata
entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o
dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta
comunicazione. (2)
Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato
motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro,
per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le
condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni
dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento
e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di
lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria
commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento
sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore
ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre
attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi
con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura
dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della
retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento
dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento
fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi
nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata
contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra
la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto
dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza
dello svolgimento di altre attività lavorative. In quest’ultimo caso,
qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati
d’ufficio alla gestione corrispondente all’attività lavorativa svolta dal
dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A
seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto
quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito
del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennità sostitutiva
della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma. (2)
Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del
giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro,
dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento
e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria
onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di
ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione
all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati,
delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle
condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo. (2)
Nell’ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del
requisito di motivazione di cui all’articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio
1966, n. 604, e successive modificazioni, della procedura di cui all’articolo 7
della presente legge, o della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio
1966, n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al
quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria
onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale
o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e
un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con
onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla
base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione
del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste
dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo.
(3)
Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente
articolo nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento
intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3,
della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità
fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato
intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice civile.
Può altresì applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta
insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato
motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli
estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui
al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione
dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri
di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca
di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della
procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive
modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata
dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie
o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal
presente articolo. (4)
Le disposizioni dei commi dal quarto al settimo si applicano al datore di lavoro,
imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento,
filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento
occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si
tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o
non imprenditore, che nell’ambito dello stesso comune occupa più di quindici
dipendenti e all’impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale
occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente
considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro,
imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti.
(29) (4)
Ai fini del computo del numero dei dipendenti di cui all’ottavo comma si
tiene conto dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale
per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito,
che il computo delle unità lavorative fa riferimento all’orario previsto
dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge e
i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea
collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui all’ottavo comma non
incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.
(4)
Nell’ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine
di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione
del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di
continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo
precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori
previsti dal presente articolo. (4)
Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 22, su istanza
congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca
mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre
con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova
forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
L’ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo
immediato al giudice medesimo che l’ha pronunciata. Si applicano le disposizioni
dell’articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di
procedura civile.
L’ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 22, il datore di
lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all’ordinanza
di cui all’undicesimo comma, non impugnata o confermata dal giudice
che l’ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento
a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari
all’importo della retribuzione dovuta al lavoratore. (5)
(1) Rubrica così sostituita dall’art. 1, comma 42, lett. a), L. 28 giugno
2012, n. 92.
(2) Comma così sostituito dall’ art. 1, comma 42, lett. b), L. 28 giugno
2012, n. 92, che ha sostituito gli originari commi dal primo al sesto con gli
attuali commi dal primo al decimo. In precedenza il presente comma era
stato sostituito dall’ art. 1, L. 11 maggio 1990, n. 108.
(3) Comma così sostituito dall’art. 1, comma 42, lett. b), L. 28 giugno
2012, n. 92, che ha sostituito i commi dal primo al sesto con gli attuali
commi dal primo al decimo.
(4) Comma aggiunto dall’ art. 1, comma 42, lett. b), L. 28 giugno 2012, n.
92, che ha sostituito gli originari commi dal primo al sesto con gli attuali
commi dal primo al decimo.
(5) Comma così modificato dall’art. 1, comma 42, lett. c), L. 28 giugno
2012, n. 92.
TITOLO III
Dell’attività sindacale
Art. 19.
Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali.
Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa
dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito:
a) (…) (1);
b) delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro
applicati nell’unità produttiva (2) (3).
Nell’ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali
possono istituire organi di coordinamento.
(1) La lettera che recitava: “a) delle associazioni aderenti alle confederazioni
maggiormente rappresentative sul piano nazionale;” è stata abrogata
dall’art. 1, D.P.R. 28 luglio 1995, n. 312.
(2) Lettera così modificata dall’art. 1, D.P.R. 28 luglio 1995, n. 312.
(3) La Corte costituzionale, con sentenza 3-23 luglio 2013, n. 231 (Gazz.
Uff. 31 luglio 2013, n. 31 – Prima serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale della presente lettera nella parte in cui non prevede
che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche
nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti
collettivi applicati nell’unita’ produttiva, abbiano comunque partecipato
alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori
dell’azienda.
Art. 20.
Assemblea.
I lavoratori hanno diritto di riunirsi, nella unità produttiva in cui prestano la
loro opera, fuori dell’orario di lavoro, nonché durante l’orario di lavoro, nei
limiti di dieci ore annue, per le quali verrà corrisposta la normale retribuzione.
Migliori condizioni possono essere stabilite dalla contrattazione collettiva.
Le riunioni – che possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di
essi – sono indette, singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze
sindacali aziendali nell’unità produttiva, con ordine del giorno su materie di
interesse sindacale e del lavoro e secondo l’ordine di precedenza delle convocazioni,
comunicate al datore di lavoro.
Alle riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti
esterni del sindacato che ha costituito la rappresentanza sindacale
aziendale.
Ulteriori modalità per l’esercizio del diritto di assemblea possono essere stabilite
dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali.
Art. 21.
Referendum.
Il datore di lavoro deve consentire nell’ambito aziendale lo svolgimento,
fuori dell’orario di lavoro, di referendum, sia generali che per categoria, su
materie inerenti all’attività sindacale, indetti da tutte le rappresentanze sindacali
aziendali tra i lavoratori, con diritto di partecipazione di tutti i lavoratori
appartenenti alla unità produttiva e alla categoria particolarmente interessata.
Ulteriori modalità per lo svolgimento del referendum possono essere stabilite
dai contratti collettivi di lavoro anche aziendali.
Art. 22.
Trasferimento dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali.
Il trasferimento dall’unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali
aziendali di cui al precedente articolo 19, dei candidati e dei membri
di commissione interna può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni
sindacali di appartenenza.
Le disposizioni di cui al comma precedente ed ai commi quarto, quinto, sesto
e settimo dell’articolo 18 si applicano sino alla fine del terzo mese successivo
a quello in cui è stata eletta la commissione interna per i candidati
nelle elezioni della commissione stessa e sino alla fine dell’anno successivo
a quello in cui è cessato l’incarico per tutti gli altri.
Art. 23.
Permessi retribuiti.
I dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui all’articolo 19
hanno diritto, per l’espletamento del loro mandato, a permessi retribuiti.
Salvo clausole più favorevoli dei contratti collettivi di lavoro hanno diritto ai
permessi di cui al primo comma almeno:
a) un dirigente per ciascuna rappresentanza sindacale aziendale nelle unità
produttive che occupano fino a 200 dipendenti della categoria per cui la
stessa è organizzata;
b) un dirigente ogni 300 o frazione di 300 dipendenti per ciascuna rappresentanza
sindacale aziendale nelle unità produttive che occupano fino a
3.000 dipendenti della categoria per cui la stessa è organizzata;
c) un dirigente ogni 500 o frazione di 500 dipendenti della categoria per cui
è organizzata la rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive
di maggiori dimensioni, in aggiunta al numero minimo di cui alla precedente
lettera b).
I permessi retribuiti di cui al presente articolo non potranno essere inferiori
a otto ore mensili nelle aziende di cui alle lettere b) e c) del comma precedente;
nelle aziende di cui alla lettera a) i permessi retribuiti non potranno
essere inferiori ad un’ora all’anno per ciascun dipendente.
Il lavoratore che intende esercitare il diritto di cui al primo comma deve
darne comunicazione scritta al datore di lavoro di regola 24 ore prima, tramite
le rappresentanze sindacali aziendali.
Art. 24.
Permessi non retribuiti.
I dirigenti sindacali aziendali di cui all’articolo 23 hanno diritto a permessi
non retribuiti per la partecipazione a trattative sindacali o a congressi e convegni
di natura sindacale, in misura non inferiore a otto giorni all’anno.
I lavoratori che intendano esercitare il diritto di cui al comma precedente
devono darne comunicazione scritta al datore di lavoro di regola tre giorni
prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali.
Art. 25.
Diritto di affissione.
Le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di affiggere, su appositi
spazi, che il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre in luoghi accessibili a
tutti i lavoratori all’interno dell’unità produttiva, pubblicazioni, testi e comunicati
inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro.
Art. 26.
Contributi sindacali.
I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo
per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro,
senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale.
(…) (1).
(…) (1).
(1) I commi che recitavano: “Le associazioni sindacali dei lavoratori hanno
diritto di percepire, tramite ritenuta sul salario nonché sulle prestazioni
erogate per conto degli enti previdenziali, i contributi sindacali che i lavoratori
intendono loro versare, con modalità stabilite dai contratti collettivi
di lavoro, che garantiscono la segretezza del versamento effettuato dal
lavoratore a ciascuna associazione sindacale.
Nelle aziende nelle quali il rapporto di lavoro non è regolato da contratti
collettivi, il lavoratore ha diritto di chiedere il versamento del contributo
sindacale all’associazione da lui indicata.” sono stati abrogati dall’art. 1,
D.P.R. 28 luglio 1995, n. 313.
Art. 27.
Locali delle rappresentanze sindacali aziendali.
Il datore di lavoro nelle unità produttive con almeno 200 dipendenti pone
permanentemente a disposizione delle rappresentanze sindacali aziendali,
per l’esercizio delle loro funzioni, un idoneo locale comune all’interno dell’unità
produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.
Nelle unità produttive con un numero inferiore di dipendenti le rappresentanze
sindacali aziendali hanno diritto di usufruire, ove ne facciano richiesta,
di un locale idoneo per le loro riunioni.
TITOLO IV
Disposizioni varie e generali
Art. 28.
Repressione della condotta antisindacale.
Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire
o limitare l’esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali
nazionali che vi abbiano interesse, il pretore (1) del luogo ove è posto in
essere il comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le
parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione
di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto
motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento
illegittimo e la rimozione degli effetti.
L’efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza
con cui il pretore (1) in funzione di giudice del lavoro definisce il giudizio instaurato
a norma del comma successivo (2).
Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro 15 giorni dalla comunicazione
del decreto alle parti, opposizione davanti al pretore (1) in funzione
di giudice del lavoro che decide con sentenza immediatamente esecutiva.
Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di
procedura civile (3).
Il datore di lavoro che non ottempera al decreto, di cui al primo comma, o
alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione è punito ai sensi
dell’articolo 650 del codice penale.
L’autorità giudiziaria ordina la pubblicazione della sentenza penale di condanna
nei modi stabiliti dall’articolo 36 del codice penale.
(…) (4).
(…) (4).
(1) Ora tribunale in composizione monocratica.
(2) Comma così sostituito dall’art. 2, L. 8 novembre 1977, n. 847.
(3) Comma così sostituito dall’art. 3, L. 8 novembre 1977, n. 847.
(4) I commi che recitavano: “Se il comportamento di cui al primo comma è
posto in essere da una amministrazione statale o da un altro ente pubblico
non economico, l’azione è proposta con ricorso davanti al pretore
competente per territorio.
Qualora il comportamento antisindacale sia lesivo anche di situazioni soggettive
inerenti al rapporto di impiego, le organizzazioni sindacali di cui al
primo comma, ove intendano ottenere anche la rimozione dei provvedimenti
lesivi delle predette situazioni, propongono il ricorso davanti al tribunale
amministrativo regionale competente per territorio, che provvede
in via di urgenza con le modalità di cui al primo comma. Contro il decreto
che decide sul ricorso è ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione
del decreto alle parti, opposizione davanti allo stesso tribunale, che
decide con sentenza immediatamente esecutiva.” sono stati abrogati
dall’art. 6, co. 1, L. 12 giugno 1990, n. 146.
Art. 29.
Fusione delle rappresentanze sindacali aziendali.
Quando le rappresentanze sindacali aziendali di cui all’articolo 19 si siano
costituite nell’ambito di due o più delle associazioni di cui alle lettere a) e b)
del primo comma dell’articolo predetto, nonché nella ipotesi di fusione di
più rappresentanze sindacali, i limiti numerici stabiliti dall’articolo 23, secondo
comma, si intendono riferiti a ciascuna delle associazioni sindacali
unitariamente rappresentate nella unità produttiva.
Quando la formazione di rappresentanze sindacali unitarie consegua alla fusione
delle associazioni di cui alle lettere a) e b) del primo comma dell’articolo
19, i limiti numerici della tutela accordata ai dirigenti di rappresentanze
sindacali aziendali, stabiliti in applicazione dell’articolo 23, secondo comma,
ovvero del primo comma del presente articolo restano immutati.
Art. 30.
Permessi per i dirigenti provinciali e nazionali.
I componenti degli organi direttivi, provinciali e nazionali, delle associazioni
di cui all’articolo 19 hanno diritto a permessi retribuiti, secondo le norme
dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle riunioni degli organi suddetti.
Art. 31.
Aspettativa dei lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive o a ricoprire
cariche sindacali provinciali e nazionali.
I lavoratori che siano eletti membri del Parlamento nazionale o del Parlamento
europeo o di assemblee regionali ovvero siano chiamati ad altre funzioni
pubbliche elettive possono, a richiesta, essere collocati in aspettativa
non retribuita, per tutta la durata del loro mandato (1).
La medesima disposizione si applica ai lavoratori chiamati a ricoprire cariche
sindacali provinciali e nazionali.
I periodi di aspettativa di cui ai precedenti commi sono considerati utili, a richiesta
dell’interessato, ai fini del riconoscimento del diritto e della determinazione
della misura della pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria
di cui al R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827 , e successive modifiche ed
integrazioni, nonché a carico di enti, fondi, casse e gestioni per forme obbligatorie
di previdenza sostitutive della assicurazione predetta, o che ne comportino
comunque l’esonero.
Durante i periodi di aspettativa l’interessato, in caso di malattia, conserva il
diritto alle prestazioni a carico dei competenti enti preposti alla erogazione
delle prestazioni medesime.
Le disposizioni di cui al terzo e al quarto comma non si applicano qualora a
favore dei lavoratori siano previste forme previdenziali per il trattamento di
pensione e per malattia, in relazione all’attività espletata durante il periodo
di aspettativa.
(1) Comma così sostituito dall’art. 2, L. 13 agosto 1979, n. 384.
Art 32.
Permessi ai lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive.
I lavoratori eletti alla carica di consigliere comunale o provinciale che non
chiedano di essere collocati in aspettativa sono, a loro richiesta, autorizzati
ad assentarsi dal servizio per il tempo strettamente necessario all’espletamento
del mandato, senza alcuna decurtazione della retribuzione.
I lavoratori eletti alla carica di sindaco o di assessore comunale, ovvero di
presidente di giunta provinciale o di assessore provinciale hanno diritto anche
a permessi non retribuiti per un minimo di trenta ore mensili.
TITOLO V
Norme sul collocamento
Art. 33.
Collocamento.
(…) (1).
(1) L’articolo che recitava: “La commissione per il collocamento, di cui
all’articolo 26 della legge 29 aprile 1949, n. 264 , è costituita obbligatoriamente
presso le sezioni zonali, comunali e frazionali degli Uffici provinciali
del lavoro e della massima occupazione, quando ne facciano richiesta le
organizzazioni sindacali dei lavoratori più rappresentative.
Alla nomina della commissione provvede il direttore dell’Ufficio provinciale
del lavoro e della massima occupazione, il quale, nel richiedere la designazione
dei rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, tiene
conto del grado di rappresentatività delle organizzazioni sindacali e assegna
loro un termine di 15 giorni, decorso il quale provvede d’ufficio.
La commissione è presieduta dal dirigente della sezione zonale, comunale,
frazionale, ovvero da un suo delegato, e delibera a maggioranza dei
presenti. In caso di parità prevale il voto del presidente.
La commissione ha il compito di stabilire e di aggiornare periodicamente
la graduatoria delle precedenze per l’avviamento al lavoro, secondo i criteri
di cui al quarto comma dell’articolo 15 della legge 29 aprile 1949, n.
264.
Salvo il caso nel quale sia ammessa la richiesta nominativa, la sezione di
collocamento, nella scelta del lavoratore da avviare al lavoro, deve uniformarsi
alla graduatoria di cui al comma precedente, che deve essere
esposta al pubblico presso la sezione medesima e deve essere aggiornata
ad ogni chiusura dell’ufficio con la indicazione degli avviati.
Devono altresì essere esposte al pubblico le richieste numeriche che pervengono
dalle ditte.
La commissione ha anche il compito di rilasciare il nulla osta per l’avviamento
al lavoro ad accoglimento di richieste nominative o di quelle di
ogni altro tipo che siano disposte dalle leggi o dai contratti di lavoro. Nei
casi di motivata urgenza, l’avviamento è provvisoriamente autorizzato
dalla sezione di collocamento e deve essere convalidato dalla commissione
di cui al primo comma del presente articolo, entro dieci giorni. Dei
dinieghi di avviamento al lavoro per richiesta nominativa deve essere
data motivazione scritta su apposito verbale in duplice copia, una da tenere
presso la sezione di collocamento e l’altra presso il direttore dell’Ufficio
provinciale del lavoro. Tale motivazione scritta deve essere immediatamente
trasmessa al datore di lavoro richiedente.
Nel caso in cui la commissione neghi la convalida ovvero non si pronunci
entro venti giorni dalla data della comunicazione di avviamento, gli interessati possono inoltrare ricorso al direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro,
il quale decide in via definitiva, su conforme parere della commissione
di cui all’articolo 25 della legge 29 aprile 1949, n. 264.
I turni di lavoro di cui all’articolo 16 della legge 29 aprile 1949, n. 264,
sono stabiliti dalla commissione e in nessun caso possono essere modificati
dalla sezione.
Il direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro annulla d’ufficio i provvedimenti
di avviamento e di diniego di avviamento al lavoro in contrasto con
le disposizioni di legge. Contro le decisioni del direttore dell’ufficio provinciale
del lavoro è ammesso ricorso al Ministro per il lavoro e la previdenza
sociale.
Per il passaggio del lavoratore dall’azienda nella quale è occupato ad
un’altra occorre il nulla osta della sezione di collocamento competente.
Ai datori di lavoro che non assumono i lavoratori per il tramite degli uffici
di collocamento, sono applicate le sanzioni previste dall’articolo 38 della
presente legge.
Le norme contenute nella legge 29 aprile 1949, n. 264, rimangono in vigore
in quanto non modificate dalla presente legge.” è stato abrogato
dall’art. 8, D.Lgs. 19 dicembre 2002, n. 297.
Art. 34.
Richieste nominative di manodopera.
(…) (1).
(1) L’articolo che recitava: “A decorrere dal novantesimo giorno dall’entrata
in vigore della presente legge, le richieste nominative di manodopera
da avviare al lavoro sono ammesse esclusivamente per i componenti
del nucleo familiare del datore di lavoro, per i lavoratori di concetto e per
gli appartenenti a ristrette categorie di lavoratori altamente specializzati,
da stabilirsi con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale,
sentita la commissione centrale di cui alla legge 29 aprile 1949, n. 264.” è
stato abrogato dall’art. 8, D.Lgs. 19 dicembre 2002, n. 297.
TITOLO VI
Disposizioni finali e penali
Art. 35.
Campo di applicazione.
Per le imprese industriali e commerciali, le disposizioni del titolo III, ad eccezione
del primo comma dell’articolo 27, della presente legge si applicano a
ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa
più di quindici dipendenti. Le stesse disposizioni si applicano alle imprese
agricole che occupano più di cinque dipendenti (1).
Le norme suddette si applicano, altresì, alle imprese industriali e commerciali
che nell’ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti
ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano
più di cinque dipendenti anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente
considerata, non raggiunge tali limiti.
Ferme restando le norme di cui agli articoli 1, 8, 9, 14, 15, 16 e 17, i contratti
collettivi di lavoro provvedono ad applicare i principi di cui alla presente
legge alle imprese di navigazione per il personale navigante.
(1) Comma così modificato dall’art. 6, L. 11 maggio 1990, n. 108.
Art. 36.
Obblighi dei titolari di benefici accordati dallo Stato e degli appaltatori di
opere pubbliche.
Nei provvedimenti di concessione di benefici accordati ai sensi delle vigenti
leggi dallo Stato a favore di imprenditori che esercitano professionalmente
un’attività economica organizzata e nei capitolati di appalto attinenti all’esecuzione
di opere pubbliche, deve essere inserita la clausola esplicita determinante
l’obbligo per il beneficiario o appaltatore di applicare o di far applicare
nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a
quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona.
Tale obbligo deve essere osservato sia nella fase di realizzazione degli impianti
o delle opere che in quella successiva, per tutto il tempo in cui l’imprenditore
beneficia delle agevolazioni finanziarie e creditizie concesse
dallo Stato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge.
Ogni infrazione al suddetto obbligo che sia accertata dall’Ispettorato del lavoro
viene comunicata immediatamente ai Ministri nella cui amministrazione
sia stata disposta la concessione del beneficio o dell’appalto. Questi
adotteranno le opportune determinazioni, fino alla revoca del beneficio, e
nei casi più gravi o nel caso di recidiva potranno decidere l’esclusione del responsabile,
per un tempo fino a cinque anni, da qualsiasi ulteriore concessione
di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero da qualsiasi appalto.
Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche quando si tratti
di agevolazioni finanziarie e creditizie ovvero di appalti concessi da enti pubblici,
ai quali l’Ispettorato del lavoro comunica direttamente le infrazioni per
l’adozione delle sanzioni.
Art. 37. (1)
Applicazione ai dipendenti da enti pubblici.
Le disposizioni della presente legge si applicano anche ai rapporti di lavoro e
di impiego dei dipendenti da enti pubblici che svolgano esclusivamente o
prevalentemente attività economica. Le disposizioni della presente legge si
applicano altresì ai rapporti di impiego dei dipendenti dagli altri enti pubblici,
salvo che la materia sia diversamente regolata da norme speciali.
(1) La Corte costituzionale, con ordinanza 3 maggio 2002, n. 149 ha dichiarato
la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale
degli artt. 31, 37 e 40 sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
Art. 38.
Disposizioni penali.
Le violazioni degli articoli 2, 5, 6, e 15, primo comma lettera a), sono punite,
salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con l’ammenda da lire
300.000 a lire 3.000.000 o con l’arresto da 15 giorni ad un anno. (1)
Nei casi più gravi le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate congiuntamente.
Quando per le condizioni economiche del reo, l’ammenda stabilita nel
primo comma può presumersi inefficace anche se applicata nel massimo, il
giudice ha facoltà di aumentarla fino al quintuplo.
Nei casi previsti dal secondo comma, l’autorità giudiziaria ordina la pubblicazione
della sentenza penale di condanna nei modi stabiliti dall’articolo 36
del codice penale.
(1) Comma così modificato dal comma 2, art. 179, D.Lgs. 30 giugno 2003,
n. 196 a decorrere dal 1° gennaio 2004.
Art. 39.
Versamento delle ammende al Fondo adeguamento pensioni.
L’importo delle ammende è versato al Fondo adeguamento pensioni dei lavoratori.
Art. 40. (1)
Abrogazione delle disposizioni contrastanti.
Ogni disposizione in contrasto con le norme contenute nella presente legge
è abrogata.
Restano salve le condizioni dei contratti collettivi e degli accordi sindacali
più favorevoli ai lavoratori.
(1) La Corte costituzionale con ordinanza 3 maggio 2002, n. 149 ha dichiarato
la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale
degli artt. 31, 37 e 40 sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
Art. 41.
Esenzioni fiscali.
Tutti gli atti e documenti necessari per la attuazione della presente legge e
per l’esercizio dei diritti connessi, nonché tutti gli atti e documenti relativi ai
giudizi nascenti dalla sua applicazione sono esenti da bollo, imposte di registro
o di qualsiasi altra specie e da tasse.