Questo si legge nel rapporto Euro Index Consumer Health 2017 (EHCI) che da 12 anni mette a confronto i sistemi sanitari di 35 paesi europei: “L’Italia ha la più grande differenza riferita al Pil pro capite tra le regioni di qualsiasi paese europeo. Il PIL della regione più povera è solo 1/3 di quello della Lombardia (la più ricca). Anche se in teoria l’intero sistema sanitario opera sotto un ministero centrale della salute, il punteggio dell’Italia è un mix tra il verde (livello alto) da Roma in su e il rosso (livello più basso) per le regioni meridionali e per questo su molti indicatori i punteggi sono gialli”.
Quindi da Roma in giù il nostro paese rileva una qualità dell’assistenza sanitaria da “codice rosso”. La differenza sta tutta nelle diverse offerte e garanzie sanitarie che un paese dovrebbe riservare a tutti i cittadini al di là della collocazione geografica.
Indicatori come i diritti dei pazienti e la relativa informazione, accessibilità delle liste di attesa, gli esiti, i servizi forniti, la prevenzione e la farmaceutica devono rimanere nel quadro dell’universalità del diritto alla salute dei cittadini italiani. Il rischio sempre maggiore è che col passare degli anni, e soprattutto dei tagli a Fondo Sanitario Nazionale, si possano affiancare bellamente, e neanche tanto di nascosto, le assicurazioni sanitarie e i fondi integrativi. Le forze politiche liberiste non vedono l’ora di permettere accessi alle cure di serie A e di serie B, inoltre alcuni sindacati poco attenti a dove gira il vento sociale hanno già provveduto ad inserire come forma di welfare, invece di riservare maggiore attenzione al salario base, tali supplementi a favore delle casse di compagnie sicuramente interessate più ai guadagni che ad una sanità gratuita ed efficiente per tutte le classi sociali.
fonte: quotidiano sanità